L’ISOLA DI POVEGLIA. UN’ISOLA MALEDETTA ABITATA SOLO DAI FANTASMI.

di Roberto Fiordi

Venezia, la Serenissima, la Dominante e la Regina dell’Adriatico, così conosciuta per essere stata per più di 1000 anni capitale della Repubblica di Venezia, è annoverata dall’UNESCO come un patrimonio dell’umanità, assieme alla sua laguna,  proprio dove in essa spunta l’isola dei fantasmi, ovvero l’isola di Poveglia.

Ogni terra, ogni singolo luogo, ogni sito ha sempre qualcosa da nascondere, qualcosa di tetro, qualcosa di assolutamente paranormale che, all’infuori del sottosuolo, magari nessuno conosce. Per qualche territorio sono sorte comunque macabre leggende, sono venute alla luce storie mezze vere, come anche nude e crude realtà ma tanto incredibili da restare interdetti perché è difficile riconoscere i limi fra il vero e l’irreale. Fra il dubbio e la certezza.

E lungo il canal Orafo sorge – appunto – quest’isola, l’isola di Poveglia, un’isola maledetta, disabitata da esseri umani, ma infestata dai fantasmi. Si tratta di una striscia di terra non aperta al turismo e lasciata in mano all’erosione che giorno dopo giorno consuma i suoi confini.

Ad oggi questo fazzoletto di terra, se pure disabitato e chiuso al pubblico, viene raggiunto ugualmente da avventurieri pionieri, da persone cioè incuriosite dall’occulto, dall’ignoto, affascinate dal soprannaturale, da improvvisati ghostbuster a caccia di fantasmi.

Su di essa si sono consumate storie di pestilenze. Storie di crudeltà. Impietose storie, dal punto di vista umano, di una fredda giurisdizione che ci ha mandato  uomini, donne e bambini a morire di una morte lenta e sofferente. Lontani da tutto e da tutti, dal mondo intero e dagli affetti familiari.

Ci troviamo nel 1700 quando a seguito di una peste, chiamata “peste nera“, che arrivò a colpire duramente tutta l’Europa, fu disposto dal magistrato di Venezia che si occupava della sanità, un provvedimento che disponeva, al fine di evitare che il contagio si propagasse, il trasferimento delle salme colpite dalla malattia presso quest’isola, per poi essere carbonizzate e seppellite in fosse comuni.

Successivamente il provvedimento si estese anche su persone contagiate ma ancora pienamente coscienti, e fra queste, il male destino della quarantena, si sospetta che possa essere toccato persino a chi non era ancora stato contaminato dalla malattia e che possa esserlo diventato dopo il trasferimento e quindi destinato anche lui a morire di un’angosciosa e lenta morte, consumata dalla malattia.

A raccontare tutto ciò è il suolo dell’isola stesso, in quanto attraverso gli scavi archeologici, nel corso degli anni sino ad arrivare a oggi, sono stati rinvenuti,  sotto agli incolti vigneti del territorio, e in fosse comuni, migliaia di resti di scheletri appartenuti a individui appestati. Il numero dei corpi che giacciono sepolti sotto l’isola di Poveglia è inqualificabile, al punto che ci sono voci che asseriscono che circa il 50% della massa di terreno conterrebbe scheletri umani.

Intorno alla fama di “isola maledetta” come viene considerata Poveglia da molte persone, sono sorte varie leggende, fra cui ce n’è una che rimane fra il dubbio e la realtà, e che novella dell’esistenza di una struttura costruita nel 1922 adibita – a quanto attestano alcuni archivi segreti rinvenuti casualmente – a dare ospitalità ad anziani, quando invece nella realtà – secondo la narrazione – fosse utilizzata come manicomio. E una palese testimonianza che si fosse trattato di una “clinica per malati di mente” la rivela l’indubbia scritta che si trova incisa sulle pareti all’ingresso e che riporta: “Reparto psichiatrico“.

Pare che la clinica abbia cessato l’attività nel 1946, ma da quanto risulta, sembra che mentre era in pieno svolgimento, i pazienti dell’ospedale psichiatrico avessero subìto maltrattamenti di ogni tipo. Si parla che siano state vittime di tormenti provenienti dagli spiriti dei morti di peste. Risulta infatti che in quei periodi le richieste di trasferimento presso altre cliniche fossero arrivate numerose sulla scrivania del direttore.

Tuttavia, certe persone, essendo classificate come matte, o quanto meno, malate di mente, non venivano mai prese in considerazione. In ogni modo se al danno si aggiunge anche la beffa, è opportuno sottolineare che i poveri pazienti erano perseguitati non solo dalle anime dei morti appestati ma anche dal sadico direttore lobotomizzatore.

Le cure che venivano utilizzate all’interno del manicomio di Poveglia erano atroci torture. I pazienti venivano sottoposti a terrificanti sperimenti. Arriviamo infatti a sostenere che se il primo trattamento di lobotomia fu fatto in Svizzera nel 1890, dove il dottor Sareles forò il cervello a sei pazienti ed estrasse parti del lobo frontale è probabile che anche a Poveglia ci siano stati pazienti che abbiano subìto il medesimo trattamento.

In ogni modo, anche la morte del direttore dell’ospedale psichiatrico di Poveglia non è stata delle più serene. La leggenda ci racconta che anche il medico si è ritrovato ad essere tormentato dagli stessi spiriti dei suoi pazienti al punto di impazzire e di gettarsi giù dal campanile dell’isola. Ma secondo la testimonianza di un’infermiera che aveva assistito a tutto, pare che il dottore non fosse morto nell’impatto col terreno, ma soffocato da una nebbiolina che si era propagata dal terreno dentro il suo corpo.