“SANPA”, UNA REALTÀ CHE VA VISTA. L’UGUAGLIANZA NELLA DIVERSITÀ

di Roberto Fiordi

San Patrignano, una famiglia che conta più di mille e trecento “ragazzi“, volti tutti a riprendersi in mano la vita; quella vita che gli era stata tolta da una società sbagliata, da una società fatta d’illusioni e di menzogne, da una società incline a castigare prevalentemente i ragazzi più giovani, più deboli, quei ragazzi in fase adolescenziale, attraverso l’odioso muto pregiudizio della serie “o lo fai o non sei uno di noi…”

Ma fare che cosa? Quel passo per doversi sentire più grandi, ma che in realtà non è altro che il diventare schiavi di quel maledetto demone che si chiama droga! L’illusione che quella sostanza ti farà stare bene, ti farà acquistare più sicurezza, ti farà superare certi ostacoli, sono solo menzogne.

Le notti da sballo anziché di ballo che cosa sono poi quando ti puoi ritrovare schiacciato fra le lamiere delle tua auto? Al cimitero con l’osso del collo rotto e i tuoi cari a compiangerti? Oppure all’interno di un penitenziario? Riverso su una panchina a passare le notti, o sotto a un ponte? Che cosa sono dunque tutte quelle illusioni? Non sono altro che menzogne; come pure tutto quello che ti raccontano, o che ti puoi essere messo in testa di poter smettere in qualsiasi momento, quando vuoi e da solo. Si tratta solo di grosse menzogne!

Per riuscire a venir fuori dall’inferno della droga è necessario il soccorso da parte d’esperti e soprattutto da parte di chi già c’è passato prima. Questo è San Patrignano, questa è quella comunità terapeutica che sorge nei colli del comune di Coriano in provincia di Rimini: una comunità  che ospita giovani con gravi problemi di tossicodipendenza, devoti a rifarsi una vita nuova .

San Patrignano è una realtà germogliata nel 1978 per iniziativa di Vincenzo Muccioli, un imprenditore che ha scelto d’investire la propria vita nel soccorso e nel recupero delle persone più disagiate, con gravi problemi di tossicodipendenza, quando alla fine degli anni Settanta il consumo di droga era diventato un fiume in piena, quando cioè i giovani erano la faccia di quella società che si contrapponeva allo spietato consumismo e alle politiche perbeniste.

L’accoglienza in casa San Patrignano non fa distinzioni di ceto sociale, culturale o qualsiasi altra fonte di discriminazione, perché quando un ragazzo vi entra è identico all’altro. Per entrarvi dunque non è necessario far parte di una famiglia agiata che disponga di buone possibilità finanziarie in quanto l’accoglienza è gratuita, la comunità non richiede alcun contributo da parte delle famiglie e neppure lo ha da parte dello Stato, nonostante sia la più grossa d’Europa e che ospiti anche persone provenienti dall’estero.

Il sostentamento di San Patrignano avviene in parte attraverso le attività che si svolgono al suo interno, dove i ragazzi hanno l’opportunità di apprendere un mestiere e quindi di esprimerlo non solo all’interno ma anche all’esterno finito il percorso di recupero. Un’altra parte di sostentamento proviene dai contribuiti volontari di donatori.

Nella comunità di San Patrignano comunicano tutti direttamente fra loro, senza fare uso di telefonini o altri apparecchi. E si riscopre inoltre il gusto epistolare per comunicare anche con la famiglia, usanze oramai morte e sepolte nelle catacombe già da decenni. È in questo modo che si scopre, o si riscopre, l’ansia dell’attesa per avere notizie dei propri cari. Ed è qui che si carica l’adrenalina al momento che uno riceve una lettera.

L’intervento della comunità di San Patrignano cerca di essere operativo a trecentosessanta gradi, intervenendo non solo nel recupero dei ragazzi finiti nel braccio della tossicodipendenza, ma pure nella prevenzione. In questo modo vengono organizzati convegni all’interno degli istituti scolastici, dove a parlare è uno dei ragazzi della comunità e dove spiega le cause della droga e le infinite problematiche che comporta; oppure vengono invitate classi a visitare l’interno della comunità, in modo da coinvolgere gli alunni stessi in quella realtà che non tutti conoscono. E questa è prevenzione.

La realtà è anche la fratellanza che c’è fra questi ragazzi, che si supportano deditamente gli uni con gli altri, proprio come fosse una grande famiglia. Quando un ragazzo entra per la prima volta all’interno della comunità non viene giudicato da nessuno né per quello che è e né per quello che ha fatto. E se anche ognuno è diverso dall’altro, in San Patrignano i ragazzi sono tutti uguali: UGUAGLIANZA NELLA DIVERSITÀ.

Qui entra e viene affiancato da un altro ragazzo che già fa parte del gruppo, il quale gruppo, a sua volta, è inserito in un settore. Chi assume il ruolo di affiancare il nuovo entrato partecipa all’inserimento dello stesso e alla sua rieducazione, in modo che questi possa superare e sconfiggere le proprie fragilità, le proprie incompetenze o incapacità.

Uno dei progetti di questa comunità prevede di dare ospitalità anche a ragazzi minorenni che non sono stati in grado di vivere la propria giovinezza e per i quali sono previsti trattamenti più tolleranti. L’accoglienza è prevista anche per madri con appresso il loro piccolo.

San Patrignano garantisce anche l’istruzione, ovvero l’opportunità d’intraprendere gli studi o portarli a termine, per i suoi ospiti.

La figura del fondatore della comunità di San Patrignano, Vincenzo Muccioli, è ancora viva fra questi ragazzi, nonostante se ne fosse andato il 19 Settembre del 1995. Le ragioni della sua scomparsa non sono mai state rivelate, anche se non si sono mai sbiaditi quei dubbi che fosse morto per il contagio dell’AIDS dovuto al contatto con i malati accolti.

A cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, quando andava sviluppandosi a gran misura il consumo della droga, e l’eroina aveva preso piede anche fra giovani e meno giovani appartenenti a famiglie non solo agiate ma anche operaie, l’Italia non era ancora preparata per affrontare tali emergenze. Non vi erano ancora strutture apposite a risolvere il problema. Così il signor Muccioli prese l’iniziativa di fondare la comunità presso il casolare di proprietà della famiglia sito in via San Patrignano, da cui ha preso il nome la comunità.

Tutto ebbe inizio con qualche roulotte donata dopo un terremoto ed è proprio da qui che si è concretizzato, poco alla volta, l’ambiente unico nel suo genere che è oggi.

In quel piccolo podere da dove tutto è partito, anni prima Muccioli, oltre che occuparsi dell’allevamento del bestiame, assieme ad altre persone aveva fondato un gruppo dedito ad assistere malati ed è stato proprio partendo da questo passo che è andato coltivando in sé sempre più la devozione nell’assistere  i portatori di problemi legati all’emarginazione.

Ed ecco come è nato San Patrignano, che sin dalle origini l’obbiettivo della comunità è stato sempre quello di dare solidarietà, amore e assistenza a tutti coloro che avevano smesso di credere nella vita, dagli emarginati ai tossicodipendenti.