SI DEVE FAR GIOCARE I RAGAZZI ALLO SPORT NON FARGLI PRATICARE LO SPORT

Il drop out sportivo nell’adolescenza.

Drop-out letteralmente significa “cadere fuori-ritirarsi” con questo termine si fa riferimento al fenomeno dell’abbandono precoce dello sport da parte degli atleti.

Con sempre più frequenza mi capita di parlare con giovani atleti alle prese con questo fenomeno: stanchi per la routine che lo sport a livelli importanti comporta, “distrutti” dagli allenamenti, dispiaciuti per il fatto di non poter passare le domeniche in famiglia o le serate con gli amici.

Le ricerche internazionali evidenziano la doppia natura dell’abbandono sportivo: da un lato il prodotto di esperienze e relazioni sociali negative (ansia pre-agonistica, assenza di successi, monotonia degli allenamenti, difficile coesione del gruppo, rapporti con l’allenatore); dall’altro, la difficile compatibilità con gli altri interessi.

I fattori che portano il giovane agonista alla decisione di interrompere sono molti: l’agonismo esasperato fin da giovanissimi, il risultato a tutti i costi, l’illusione preclusa di diventare campioni, la nascita di nuovi interessi, genitori e ambiente esterno troppo esigente e pressante e sopratutto il venire meno del divertimento e della passione.

A un livello più profondo si nota che quando lo sport non rappresenta più un’area in cui il soggetto può sperimentare i propri bisogni regressivi, i propri processi di separazione e la propria aggressività, l’attività sportiva diventa un luogo di frustrazione. Quindi l’abbandono dello sport, nella maggior parte dei casi, può essere interpretata come il bisogno da parte del soggetto di trovare altre aree transazionali, in cui poter sperimentare e ricercare ancora soddisfazioni ai propri bisogni profondi. Nei casi più sofferti, invece, l’abbandono sportivo si configura come la fuga da un’esperienza divenuta intollerabile, con un conseguente senso d’impotenza e di sconfitta da parte dell’atleta. Se si esaurisce, o si smarrisce, il senso dello sport come area transazionale, i significati che il giovane atleta ricercava nell’esperienza motoria non si trovano più e i vissuti non corrispondono più alle aspettative del ragazzo e l’effetto di ciò è l’abbandono sportivo (Sandra Vincenzi, 1992).

Sono molte le responsabilità dello sport nel fenomeno dell’abbandono e, in particolare nella programmazione dei metodi di allenamento utilizzati. L’applicazione di un metodo di allenamento standardizzato, che predilige le esecuzioni e le ripetizioni; la richiesta di un agonismo sbagliato, basato sul giocare solo per vincere e con ogni mezzo oltre ad essere un limite per il rendimento, va contro il piacere del gioco e del gusto del divertimento stesso.

Di conseguenza, l’atleta fa uno sport che lo condiziona, senza, però, lasciare spazio alla sua persona, non lo coinvolge e lo porta, in tal modo, ad allontanarsi per mancanza d’interesse (Prunelli, 2002). La conseguenza che si scatena di fronte ad allenatori troppo esigenti e metodi di allenamento che mirano non tanto a educare e a formare un giovane ma a costruire una “macchina da risultato” è proprio il drop-out.

La figura dell’allenatore gioca un ruolo molto importante, egli è il modello d’identificazione per i suoi ragazzi sia sul piano sportivo sia su quello umano. I ragazzi cercano un adulto cui far affidamento, una persona stimolante, stabile emotivamente, un leader empatico; non cercano, al contrario, né una figura eccessivamente permissiva né un leader autoritario che comanda (Meterangelis, 2007).

L’atleta dovrebbe essere messo nella condizione di riscoprire la molla iniziale che lo ha portato ad intraprendere quello sport e che di solito si identifica nel divertimento, nella gioia di giocare (o ballare, correre…) di far parte del gruppo, di stare in campo, nello spogliatoio, sul ring o dentro un palazzetto! Se i ragazzi non trovano soddisfatti questi bisogni primari, lasciano! Il

compito di chi sta intorno all’atleta è far scoprire l’importanza della prestazione prima del risultato; a nessuno piace perdere ma la componente agonistica non deve essere l’unico obiettivo. Fondamentale è insegnare ai ragazzi a gestire la sconfitta e ad utilizzare gli errori per crescere per aumentare la tenacia e la volontà.

Breve Bibliografia:

Meterangelis A., “Psicobiologia dello sport”, Edizioni Kappa, Roma, 2007. Prunelli V., “Sport e agonismo. Come conciliare testa e gambe per formare uno sportivo completo”, Ed. Franco Angeli, Milano, 2002. Vincenzi S., “L’abbandono e il ritorno allo sport. Lo sport come fenomeno transazionale”, Ed. Luigi Pozzi, Roma, 1992.

Dott.ssa Elisa Chiappinelli