UN TEOREMA SUL PRESIDENTE NON ELETTO

La storia che gira attorno all’attuale Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è una storia fatta di banche, banchieri, imprenditori, parenti e massoni. Persone legate, almeno in passato, a famiglie mafiose e alla Banda della Magliana. In tutto questo forse qualcosa di sinistro ci può stare… Ma andiamo per ordine.

Matteo Renzi, da sindaco di Firenze eletto nel 2009, è passato prima a essere segretario nazionale del PD l’8 dicembre 2013 e poi Presidente del Consiglio dei Ministri il 22 febbraio 2014. Il piatto forte di Matteo Renzi è la fedeltà che ha nel rispettare le promesse che spende. Già da quando ancora era sindaco di Firenze, dov’era evidente a tutti la sua ardente ambizione di salire a palazzo Chigi, in più riprese aveva promesso che mai avrebbe sdoganato il suo compagno di partito, Enrico Letta, dalla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, ma anzi di essere disposto ad aiutarlo per il bene del PD. E infatti, come volevasi dimostrare, passa non molto tempo che lo stesso Renzi, dopo avere assunto il ruolo anche di segretario nazionale del PD, presenta un documento che propone la sostituzione del governo in carica, presieduto ancora dall’amico Letta. La direzione del PD va ai voti e la proposta del nuovo segretario nazionale del Partito passa con larga maggioranza, 136 favorevoli contro 16 contrari. Letta è costretto a rassegnare le dimissioni. Dopo le consultazioni con l’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Matteo Renzi diviene Presidente del Consiglio dei Ministri e presta giuramento al popolo.

Matteo Renzi, un Bebè (a paragone dei suoi colleghi) fiero di sé stesso che ha saputo cavalcare le simpatie di molti fiorentini che lo hanno eletto come primo cittadino della prestigiosa città d’arte, al punto di essere ritenuto il sindaco più amato d’Italia nella tredicesima edizione di Monitor Città (settembre del 2010), grazie alla sua capacità comunicativa – con certezze e utopie – era riuscito a vendere fiducia anche a molti italiani. Oggi però le cose forse non stanno più in questo modo, ed è probabile che egli stesso se ne sia reso conto. Lo dimostra l’ennesima e ultima sua promessa spesa e poi ritrattata, ovvero quella di rassegnare le dimissioni nel caso in cui passasse il “NO” al referendum costituzionale che si terrà il prossimo novembre. Affermazioni fatte in tutti i canali televisivi, quando ancora si sentiva sicuro di sé. Oggigiorno però, forse, resosi  conto di cosa pensa il popolo italiano di lui e del suo operato nelle vesti di Primo Ministro, la sua presunzione si è sgonfiata e ha così ritrattato la promessa asserendo che la Nazione sarà chiamata al voto per le politiche nel 2018, a fine del suo mandato. Che Uomo, tutto d’un pezzo!

Ma queste non sono che esili rivelazioni in confronto a quanto segue.

Il caso da prendere in esame è l’inchiesta per bancarotta fraudolenta della Banca Etruria con sede ad Arezzo e il coinvolgimento del suo PD. Banca Etruria sin dai suoi albori (nasce ad Arezzo nel 1882) ha sempre tenuto contatti finanziari con la politica e la massoneria cattolica. Banca Etruria era il porto di mare dove approdavano i galeotti democristiani e i galeotti massoni, divenendo un deposito di soldi anche irregolari quali provenienti persino da tangenti. In Banca Etruria esisteva un conto, il “Conto Primavera sul quale il Gran Maestro Licio Gelli depositava le quote degli affiliati.

La facilità con cui la Banca Etruria elargiva prestiti ad amici fidati, senza vederne spesso i rientri, prosegue persino quando nel 2007 giunge la crisi finanziaria e i debiti si accumulano. Per questi amici però i soldi continuano a esserci.

Ecco nel 2011 entrare a far parte del Consiglio di Amministrazione (cdA) della banca un certo Pierluigi Boschi, ex Dc, oggi PD e padre della Ministra per le Riforme Costituzionali e i Rapporti con il ParlamentoMaria Elena Boschi, in carica dal 2014. Chissà se è un caso o no, ma in quello stesso anno il padre della Boschi, Pierluigi, sale di grado e viene nominato vicepresidente della Banca Etruria.

Nel 2015 la Banca d’Italia manda gli ispettori alla Banca Etruria che fanno emergere manipolazioni sui dati per mascherare le gravose perdite. La Banca d’Italia provvede al commissariamento della Banca Etruria. Un commissariamento che ha mandato in fumo 400milioni di euro e sul lastrico 60mila piccoli risparmiatori.

Banca Etruria va così a gambe all’aria e di conseguenza vengono indagati per bancarotta fraudolenta i vertici. Fra i nomi spuntano, ovviamente, quello di Pierluigi Boschi, padre della ministra, in qualità di vicepresidente, e quello del presidente, Lorenzo Rosi, il quale a sua volta era legato da una serie d’intrecci e società – che nascevano dietro al progetto per la realizzazioni di outlet – al consulente tecnico Tiziano Renzi, padre del Primo Ministro. Lo stesso Tiziano Renzi si trovava già nella situazione di essere indagato per bancarotta fraudolenta per il fallimento della Chil Post, l’azienda di famiglia, che a modo di vedere degli investigatori della Procura di Genova, nel 2010, Tiziano avrebbe affidato a un amico, Gianfranco Massone (75 anni), per portarla a morire lontano da Rignano. La Chil Post era stata finanziata con un prestito di 650mila euro dalla BCC di Pontassieve, il cui funzionario era – guarda caso – Marco Lotti, papà di Luca Lotti, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

Tornando a parlare di Banca Etruria, sembrerebbe che quando le cose si mettevano male per la banca ed era necessario trovare un nuovo direttore generale, Rosi e Boschi si sarebbero rivolti alla Massoneria. Alla Massoneria più oscura e inquietante. Spuntano fuori così il nomi di Valeriano Mureddu e Flavio Carboni.

Il primo, Valeriano Mureddu, era un patito per lo spionaggio e aveva un indagine in corso per associazione segreta. Fra i mobili di casa sua fu ritrovato un archivio segreto. «Ho fatto affari con Tiziano Renzi», è ciò che ha affermato il massone Mureddu,  originario di Rignano sull’Arno e vicino di casa di Tiziano Renzi. «E conosco bene il papà della Boschi: era disperato, così ho chiesto a Flavio Carboni di aiutarlo. Ma nel puzzle manca il nome più importante». 

Il secondo, invece, proprio Flavio Carboni, è un personaggio che negli anni ’70 aveva rapporti stretti con la famiglia mafiosa Calò e la Banda della Magliana. Negli anni ’80 si era legato a Licio Gelli e quindi alla Propaganda due (P2). Questi è stato un uomo che ha descritto da protagonista le pagine più oscure delle vicende italiane. È poi finito nei guai anche per un’altra società segreta, Propaganda tre (P3), che coinvolse un’altra persona, Denis Verdini, alleato riformatore del Governo Renzi. Anch’egli è finito poi sotto inchiesta per bancarotta del Credito Cooperativo Fiorentino.

Proprio un bell’intreccio fatto di uomini di prestigio, di soldi e di banche quello che sta dietro all’attuale Capo del Governo.