FEMMINICIDI IN AUMENTO, MA LA GIUSTIZIA TARDA A PRENDERNE ATTO

di Patrizia Scotto di Santolo

Prato –  “Come si fa a uccidere una donna se a quella donna un giorno, hai giurato amore eterno?”. È una domanda che nasce  spontanea  e che dimostra se possibile l’incredulità che colpisce ciascuno di noi al ripetersi  di una violenza che inspiegabilmente, cieca, esplode nei legami più intimi.

Facciamo il punto della situazione con gli avvocati pratesi Anna Edy Pacini, civilista, presidente dell’associazione A.M.Marino di Prato per SVSL di Milano, che si occupa di violenza di genere, ed Elena Augustin, penalista e consigliera.

«Siamo già a 43 donne ammazzate in questa prima parte dell’anno, una media di una donna ogni tre giorni – sottolinea l’avvocato Pacini – ciò che non si può accettare è che quello che accade non viene preso in considerazione soprattutto dagli operatori della giustizia e quindi conseguentemente dal nostro Parlamento. Il delitto contro la donna è una piaga sociale che in qualche modo deve essere fermata».

Cosa suggerisce, avvocato Pacini,  a questo proposito? 

«Si può cominciare a fare prevenzione  sui nuovi soggetti della società che sono i giovani. Si vede purtroppo che tanti di questi omicidi sono commessi da ragazzi poco più che ventenni e quindi la formazione o meglio ancora la “cultura di genere” nelle scuole diventa indispensabile, visto che i giovani,ragazzi e ragazze, saranno i protagonisti della futura società: ai ragazzi va spiegato che la donna non è una proprietà e alle ragazze di evitare l’ultimo appuntamento chiarificatore, perché un soggetto violento non cambia a meno che non si renda conto di essere tale e decida di farsi aiutare. È necessario agire velocemente ricordando, se fosse necessario, che ciò che colpisce la donna è ancora la mano maschile, ma sembra, a tutt’oggi, che gli uomini non ne comprendano ancora la gravità, non se ne assumano la responsabilità, quasi esitino a farsene carico stentando a prenderne coscienza».

Ha destato scalpore la sentenza di pochi giorni fa con la condanna a due giudici che nel 2007 avevano archiviato 12 denunce fatte da una donna a Caltagirone. Lo Stato è stato poi condannato a un risarcimento dei danni nei confronti dei familiari, ai genitori adottivi dei bambini rimasti orfani, ma sgomenta che lo Stato stesso sia ricorso in Appello.

«È vergognoso che lo Stato si rifiuti di pagare il risarcimento addirittura chiedendo la sospensione della sentenza di primo grado: è ricorso in Appello e quindi ha chiesto la sospensività del risarcimento stabilito nel processo di primo grado. Mi domando perché se c’è una responsabilità dei magistrati, cosa che da anni esiste ma non è mai stata messa in atto, il che vuol dire che gli strumenti c’erano allora come oggi, non si devono condannare quei giudici? Perché  il nostro Stato non deve risarcire chi, in qualche modo, indirettamente e direttamente come in questo caso sta causando una sofferenza a quei bambini, che stanno pagando senza averne colpa? Finalmente oggi si comprende che le prime vittime nei drammi che si porta dietro il femminicidio sono i figli che rimangono senza genitori o perché entrambi si ammazzano o perché la mamma viene uccisa e il babbo va in galera, ritrovandosi quindi in una situazione che diventa difficile da seguire e gestire, oltre al trauma psicologico che questi ragazzi si porteranno dietro tutta la vita».

Ma lo Stato non aveva creato un fondo per chi le vittima di violenza?

«Tanti  anni fa è stato reso pubblico che era stato istituito un fondo per le vittime di femminicidio: la legge  è stata fatta, ma come al solito non ci sono le norme di attuazione,quindi non si sa come attingere a questo fondo e non si riesce a capire come fare a richiederlo; se poi c’è una condanna di risarcimento dei danni richiesto allo Stato, e lo Stato fa appello chiedendo addirittura la sospensiva della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado, siamo al paradosso».

Si deve dunque lavorare per ricostruire il rapporto tra uomini e donne cominciando da una nuova etica dei sentimenti, sopratutto sulla prevenzione e cura, ma circa le leggi che sono i primi strumenti a tutela della vittima, avvocato Augustin, cosa si può dire?

«Dal punto di vista penale di cui mi occupo le leggi, ovvero gli strumenti, ci sono e sono tantissimi, tant’è vero che, secondo il mio punto di vista, bisognerebbe fare un testo unico per ordinare le varie normative che si occupano della violenza di genere. Ci sono gli strumenti ma, ahimè, non vengono applicati».

 Può spiegarci meglio cosa succede?

«Mi è capitato anche  per situazioni abbastanza pesanti di  fare richieste di allontanamento con applicazione della misura cautelare, ma esse giacciono ancora sul tavolo: alcune devono essere iscritte per essere assegnate al pubblico ministero, altre pur essendo assegnate al pubblico ministero restano ferme perché, prima di emettere una misura cautelare, i pubblici ministeri devono fare degli accertamenti.

Ben vengano gli accertamenti, perché  purtroppo ci sono anche delle denunce strumentali fatte dalle donne per motivi anche relativi alla separazioni, ma molte non sono strumentali e quindi dovrebbero essere prese subito in considerazione e ciò non avviene».

Ma ad esempio ricorrere alla Convenzione di Instabul?

«Ribadisco, io credo che la prevenzione in questo campo sia fondamentale e al di là di quello che dice la Convenzione di Instanbul: educazione dei giovani, degli uomini, convegni, studi, approfondimenti sul tema, che sono importanti, quello che veramente deve cambiare è la mentalità ed è una cosa che richiede tempo; mentre la legge c’è e va applicata subito proprio perché essa sia efficace».

Dunque sta dicendo che la giustizia in questi casi non agisce in fretta?

«Succede purtroppo che la persona offesa in generale, in questo caso la vittima di violenza, non abbia  gli strumenti per difendersi, anche perché non viene ascoltata nemmeno dal pubblico ministero.

Infatti la persona offesa sporge querela ma non ha nessun strumento per essere ascoltata obbligatoriamente dal pubblico ministero, e quindi credo che un pm, come deve sentire obbligatoriamente l’imputato quando lo richiede, debba avere l’obbligatorietà di sentire la persona offesa.

È capitato purtroppo anche questo, ovvero ci sono state delle archiviazioni senza che nemmeno sia stata sentita la persona offesa che potrebbe dire, se ascoltata, cose in più rispetto a quello che ha scritto nella querela».

Da quanto detto sembra che la vittima di violenza sia lasciata completamente sola…

«Le dirò di più,  quand’anche venga fatta richiesta di scarcerazione o comunque di revoca della misura cautelare, essa deve essere notificata alla persona offesa ovvero alla vittima, che può entro due giorni redigere “una memoria”, ma accade che “questa memoria” non serva a nulla, perché  comunque il pubblico ministero dà il suo parere indipendentemente  da quello  che ha  scritto la vittima: “io ho paura perché lui secondo me tornerà a darmi fastidio” etc.».

Allora cosa, avvocato Augustin, secondo lei cosa si potrebbe fare in concreto,per aiutare quelle donne che si sentono minacciate?

«Ecco credo in una revisione  “de iure condendo” del codice di procedura penale; poi mettere a punto un testo che riunisca tutte queste norme che sono veramente troppe e a volte poco chiare, infine che si coniughi il più possibile il penale con il civile che sono spesso strettamente collegati, oltre a  revisionare alcune norme sui termini del 415 bis».

Circa, invece, la velocità d’esecuzione dei provvedimenti che tutelano la vittima?

«Sulla celerità, quella dipende dalla volontà  del giudice».

fonte Stamp Toscana