“Coronavirus? Resto in casa. In guerra e in carestia si obbedisce”

Dalle pagine del quotidiano “La Nazione” l’integrale intervista a Franco Cardini, professore e scrittore, a riguardo del suo giudizio sul “Resto in casa per il Coronavirus”

                                                  di PIERO CECCATELLI.

Franco Cardini, docente di storia e scrittore. “Mi chiedo: dove vado, se fuori è tutto chiuso? E placo la mia ansia di giramondo”

 

Firenze. 18 marzo 2020 – Com’è cambiata la vostra vita col coronavirus? Ne parliamo con Franco Cardini, ottant’anni, fiorentino, docente emerito di storia medievale all’Università di Firenze, ora con cattedre a Parigi (all’Ecole post universitaria) e San Marino.Saggista, scrittore e blogger.

Cardini, sta in casa o porta fuori il cane?

“Sono un ottantenne che per 55 anni è stato pubblico funzionario, disprezzo i governi democratici, ma ho giurato fedeltà allo stato. Ciò che ho promesso, faccio. E resto in casa”. 

Obbedisce. 

“Obbedisco al collega Conte, pure lui professore a Firenze, cui va la mia solidarietà anche se non ho in simpatia il suo governo”.

Da lei c’era da attendersi dell’indisciplina creativa.

“In guerra e nelle carestie si deve obbedire. A cose risolte, ci sarà tempo per dissentire, scannarsi”.

Molto anglosassone.

“E’ l’opposizione di Sua maestà, cara alla Gran Bretagna e che in Italia non si pratica, preferendo sparlare di chi governa per lucrare voti”.

A casa, si annoia?

“Annoiarsi è da cretini.  Ammissibile in un giovanissimo, fino a quando non gl’insegni a giocare o a imparare, attività che spazzano la noia”.

E in un anziano?

“Se non hai imparato a ottant’anni, a non annoiarti, che hai vissuto a fare?”.

Lei cosa fa?

“Intanto, domino la voglia che avrei di uscire”

Come?

“MI domando: che esci a fare se i posti in cui vorresti andare sono tutti chiusi? E mi placo”.

Non ci vuol molto.

“Lo dice lei. Per me tre giorni di fila a casa sono serviti a disfare le valigie. E a rifarle. Un cruccio, però ce l’ho”.

Prego.

“Avevo perso due-tre chili. Ne riprenderò sei e dovrò rimettermi a dieta”.

Una volta si moriva di fame, oggi di colesterolo.

“Un tempo l’uomo era più ricco e assieme  più povero”.

Ad esempio?

“Durante la peste del Seicento, ora tornata di moda. L’uomo era più povero di conoscenze scientifiche, ignorava virus e bacilli, credeva che le malattie dipendessero dalla corruzione dell’aria o dalle stelle, Sapeva che l’arrivo dei topi era presagio di peste ma non lo collegava al fatto che nello stomaco dei topi  si annidavano i microrganismi che la causavano. Oggi, tutte queste cose le sappiamo, ma ci manca una ricchezza, che allora c’era”. 

Quale?

“La fede. La morte era considerata un passaggio necessario” 

E oggi?

“Siamo coscienti che dopo la morte finisce tutto e ne abbiamo una gran paura”.

Non dirà che era meglio allora.

“Le rispondo con un confronto. Nel 1630 il Cardinale Federigo Borromeo, intelligente e illuminato, ordinò una processione col sarcofago in vetro di San Carlo Borromeo per purificare la città con gran concorso di popolo. Risultato: si ammalarono tutti. Oggi la Cei invita a  pregare da soli, evitare assembramenti. Il papa le tira le orecchie, ma in questo frangente, la Cei mi appare l’istituzione più saggia su piazza”.

Johnson invita a mettere in conto che i sudditi della Regina perderanno i propri cari.

“Un capo di Stato deve difendere una ad una le persone che governa, non addentrarsi in teorie zoologiche su greggi e ‘immunizzazione”.

Ma gli anziani cadono come foglie d’autunno, col coronavirus. 

“Chi volete che muoia? Siamo una società di anziani. In Iran muoiono trentenni e quarantenni, perché la loro età media è giovane. Hanno i centenari, ma sono una minoranza. L’Iran ha un welfare eccellente, moltissimi laureati in materie serie come medicina e ingegneria e non in architettura dell’epoca di Mao, come usa da noi. Muoiono i giovani perché pagano l’embargo che dal 1979 impedisce di attingere alle risorse migliori”.

L’Occidente cinico e baro, vecchia storia.

“Siamo un’isola felice che in questi giorni si scopre debole  e si sente condannata, perché costretta a stare in casa da un pericolo che può essere mortale. Pensi, l’Occidente che per secoli ha condannato a morte centinaia di migliaia di persone per alimentare la propria economia”.

Finirà?

“Come tutto, nel mondo. La peste del 1347 partì dall’Asia centrale e finì nel 1352 in Russia dopo aver fatto il giro dell’Europa, con orde di topi che si spostarono verso il Volga. Allora, ci vollero cinque anni. Oggi, per estendere un contagio paragonabile a quello, basterebbe il traffico negli aeroporti di tutto il modo in una sola giornata. Ha fatto prima a espandersi, farà prima ad andarsene. E alla fine faremo la conta”