Il Cenacolo Vinciano di Leonardo da Vinci

Quest’anno ricorre il cinquecentesimo anniversario della scomparsa di Leonardo Da Vinci.
La carriera di Leonardo, secondo alcuni documenti storici attribuiti al Vasari, inizia quando il padre di Leonardo, Ser Piero, notaio di discreta importanza mostra alcuni disegni del figlio al celebre maestro Andrea di Michele di Francesco di Cione, meglio noto come Verrocchio il quale decise intorno al 1470 di prendere Leonardo come apprendista presso la propria bottega a Firenze. Verrocchio fu uno dei migliori maestri di sempre nella storia dell’arte. Nella sua bottega si formarono grandissimi artisti come Leonardo, Botticelli, Pietro Perugino, Domenico Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, Bartolomeo della Gatta e tanti altri.
Ci cimentiamo oggi con la lettura di una delle opere più grandi di Leonardo da Vinci, la raffigurazione più famosa al mondo dell’ultima cena di Cristo: Il Cenacolo Vinciano (o  Ultima Cena ) 1495-1499 tempera e olio su intonaco 460 x 880 Milano Convento di Santa Maria delle Grazie,  Refettorio.

Correva l’anno 1494 e Leonardo da Vinci era deluso dall’abbandono forzato del progetto del Monumento Equestre a Francesco Sforza a cui aveva lavorato per quasi dieci anni.  Quell’anno ricevette però un altro importante incarico da Ludovico il Moro   il quale aveva   eletto la chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie   a luogo di celebrazione della casata Sforza.

Il duca di Milano aveva finanziato importanti lavori di ristrutturazione e abbellimento di tutto il complesso; Donato Bramante aveva appena finito di lavorarvi, quando si decise di procedere con la decorazione del refettorio.

Nella novella LVIII  (1497) Matteo Bandello che in quel periodo soggiornava per motivi di studio nell’edificio, fornì una preziosa testimonianza di come Leonardo lavorasse attorno al Cenacolo:

«Soleva […] andar la mattina a buon’ora a montar sul ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l’imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v’avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L’ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove.»

(Matteo Bandello, Novella LVIII)

Come è noto Leonardo non amava la tecnica dell’affresco la cui rapidità di esecuzione, dovuta alla necessità di stendere i colori prima che l’intonaco asciughi imprigionandoli, era incompatibile con il suo modus operandi, fatto di continui ripensamenti, aggiunte e piccole modifiche, come testimonia dopotutto il brano di Bandello. Scelse di dipingere quindi su muro come dipingeva su tavola: i recenti restauri hanno permesso di appurare che l’artista, dopo aver steso un intonaco piuttosto ruvido, soprattutto nella parte centrale, e steso le linee principali della composizione,  lavorò al dipinto usando una tecnica tipica della pittura su tavola.

Questa tecnica permise la particolare ricchezza della pittura, con una serie di piccole pennellate quasi infinite e una raffinata stesura tono su tono, che consentì una migliore unità cromatica, una resa delle trasparenze e degli effetti di luce, e una cura estrema dei dettagli, visibili solo da distanza ravvicinata; ma fu anche all’origine dei problemi conservativi, soprattutto in ragione dell’umidità dell’ambiente, confinante con le cucine.

Appena terminato il dipinto, Leonardo si accorse infatti che la tecnica utilizzata mostrava subito i suoi gravi difetti: nella parte a sinistra in basso si intravedeva già una piccola crepa. Si trattava solo dell’inizio di un processo di disgregazione che sarebbe continuato inesorabile nel tempo; già una ventina di anni dopo la sua realizzazione, il Cenacolo presentava danni molto gravi, tanto che Vasari che la vide nel maggio del 1566 scrisse che “non si scorge più se non una macchia abbagliata”. Le cause che provocarono quel degrado inarrestabile erano legate all’incompatibilità della tecnica utilizzata con l’umidità della parete retrostante, esposta a nord (che è il punto cardinale più facilmente attaccabile dalla condensa) e confinante con le cucine del convento, con frequenti sbalzi di temperatura; lo stesso refettorio era poi interessato dagli effluvi e dai vapori dei cibi distribuiti.

Per Francesco Scannelli, che scriveva nel 1642, dell’originale non era rimasto altro che poche tracce delle figure, e anche quelle tanto confuse che non se ne poteva ricavare alcuna indicazione sul soggetto.  Nei secoli, gli interventi dei pittori restauratori furono di ogni tipo e spesso cambiarono l’aspetto di alcune figure. Il volto di Pietro che vediamo oggi chinato in avanti, pari fosse invece reclinato all’indietro e di scorcio. Stessa sorte fu riservata alle teste di Giuda, Andrea e Giacomo Minore.

La rappresentazione

«Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Di’, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. »(Giovanni 13, 21-26)

Leonardo sceglie di rappresentare il momento più drammatico dell’ultima cena: l’annuncio del tradimento erompe come un’esplosione nella stanza. Gesù al centro appare come imperturbato e immerso nella sua profonda, malinconica solitudine. I dodici apostoli si dividono in quattro gruppi di tre ciascuno: fra essi Giuda (il quarto da sinistra) è appoggiato col gomito sul tavolo, rivolto verso Cristo, ed è rappresentato in ombra, turbato perchè colpevole (ancora non è sotto accusa…). I domenicani davano grande importanza alla concezione del “libero arbitrio”: l’uomo non sarebbe predestinato al bene o al male ma può scegliere tra le due possibilità. Giuda infatti nel dipinto di Leonardo è raffigurato in modo differente dalla grande maggioranza delle ultime cene dell’epoca, dove lo si vede da solo, al di qua del tavolo: Leonardo raffigura  Giuda assieme agli altri apostoli… I quattro gruppi formano approssimativamente delle piramidi concatenate tra loro e piramidale è anche, al centro, Gesù rappresentato con le braccia allargate in segno di dedizione e isolato rispetto agli apostoli. Il significato espresso è quello dell’uomo che si trova solo nel momento in cui affronta il sacrificio estremo…

Leonardo rappresenta la consapevolezza di chi sa che Gesù sarà abbandonato da tutti ma contemporaneamente ne rappresenta la serenità di chi ha accettato con coscienza una missione che sta volgendo al termine. C’è dunque uno stacco non indifferente tra la appassionata concitazione degli apostoli e la calma di lui.

Nell’Ultima Cena la profondità è espressa per mezzo della convergenza delle linee verso il punto di fuga: le linee sono quelle dei lati della tavola, dei ricami della tovaglia, dei riquadri dei cassettoni del soffitto e del bordo degli arazzi appesi alle pareti. L’illuminazione procede da sinistra e dal fondo viene, invece, un controluce che contribuisce a dare morbidezza al volto di Gesù e, come sostituendo l’antica aureola, gli conferisce divinità. 

Sopra l’Ultima Cena si trovano, oltre una cornice baccellata all’antica, tre lunette, in larga parte autografe. Esse contengono stemmi degli Sforza entro ghirlande di frutta, fiori e foglie, e iscrizioni su sfondo rosso; la lunetta centrale in particolare, di dimensione maggiore di quelle laterali, è in uno stato di conservazione buono, con una precisa descrizione delle specie botaniche. In questa si è scoperto, grazie a un restauro digitale del dipinto, effettuato dal centro ricerche Leonardo, anche in base al ritrovamento di alcuni bozzetti inediti dell’opera, quello che si ritiene essere il drago simbolo della famiglia nobiliare, il famoso Biscione. Secondo Mario Taddei, curatore del progetto, sulla base del ritrovamento del disegno preparatorio che lo raffigura, lo si potrebbe invece interpretare come un serpente che striscia verso l’alto quasi a voler uscire dal dipinto. Un serpente che si trova sospeso esattamente sopra la testa del Gesù.

Curiosità sul Cenacolo Vinciano

Sapevi che la grande fama di questo capolavoro ha suscitato l’interesse di molti storici, ricercatori e romanzieri che cercano di risolvere i presunti misteri ed enigmi che circondano questo quadro? Ad esempio nei libri “The Templar Revelation” di Clive Prince e Lynn Picknett e il romanzo “Il Codice da Vinci” di Dan Brown, si afferma che la figura a destra di Gesù non è l’apostolo Giovanni ma una figura femminile ovvero la Maddalena. La verità è che questi misteri e curiosità non sono stati ancora risolti. Sapevi che durante la prima guerra mondiale, le truppe di Napoleone hanno usato la parete del refettorio per il tiro al bersaglio e come stalla e durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti hanno distrutto il tetto dell’antica sala da pranzo del convento dominicano lasciando il quadro a cielo aperto per diversi anni?

n.b. 
Dal 9 marzo al 14 luglio 2019 Palazzo Strozzi celebra Andrea del Verrocchio, maestro di Leonardo da Vinci e artista simbolo del rinascimento a Firenze, attraverso una grande mostra che ospita oltre 120 opere tra dipinti, sculture e disegni provenienti dai più importanti musei e collezioni del mondo.