La mafia gialla a Prato conquista il tessile

Un articolo datato 5 giugno 1991, riportato nel quotidiano la Repubblica e intitolato “Sgomitata la mafia del tessile 17 arresti in Toscana“, parlava dell’infiltrazione mafiosa cinese nel tessuto industriale toscano, orientata ad imprimere le proprie regole attraverso minacce, acquisti forzati di quote di società, fallimenti pilotati, profitti di miliardi (all’epoca in lire). Il luogo dove è stata sgominata l’organizzazione criminale risulta essere stato Prato, capitale industriale della Regione, e a condurre i 17 arresti è stato il Gico, il Gruppo investigativo criminalità organizzata della Guardia di Finanza. Una notizia remota ma ancora attuale a tutti gli effetti, ed oggi è ancora più efficace di allora.
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La rete criminale cinese ha esteso i propri tentacoli ovunque, monopolizzando – a poco a poco – il mercato pratese. Essa non ha bisogno di omicidi, e qualora si compissero si compierebbero fra connazionali stessi all’insaputa di tutti, ma agisce riciclando denaro sporco, ottenuto dalle evasioni fiscali, in nuove attività economiche e persino – a quanto potrebbe sembrare – nel traffico di droga.
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Il compito della mafia gialla, tuttavia, non si esaurisce qui, essa è partecipe in prima persona, come denuncia il Presidente della Commissione Speciale Prato Città SicuraAldo Milone, al controllo di tutte le attività commerciali cinesi presenti sul territorio e tale organizzazione muove i fili anche sul traffico dei clandestini da far entrare in Italia e sullo sfruttamento degli stessi, costretti a lavorare in condizioni disumane, senza dignità e senza regole che li tutelino. Un vero e proprio sfruttamento.
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Lo stesso presidente aggiunge pure che su Prato sorvoli un drone capace di filmare una città che piano piano sta finendo completamente nelle mani dei cinesi. La massiccia evasione fiscale da parte delle imprese orientali, aggiunge lo stesso Aldo Milone, non solo va a gravare sui bilanci delle aziende artigiane locali, tagliandole fuori dal mercato, ma il massiccio patrimonio di liquidità che produce alla criminalità organizzata cinese la “potrebbe portare al completo dominio economico locale“.
Un’economia, sottolinea sempre il presidente della Commissione, alla quale inconsapevolmente si presterebbero persino committenti locali presi dal guadagno immediato, senza rendersi conto della coltellata che gli stessi si stanno dando per l’avvenire.
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Fatto sta che la colpa ricade anche, e soprattutto, nelle istituzioni che finora hanno fatto poco per sanare questa emorragia d’illegalità orientale. Essi, pur consapevoli del giro di milioni che transita abusivamente fra le imprese cinesi, si sono mossi fin troppo cautamente per combattere questa piaga che sta uccidendo la città. Sono pochi gli interventi da parte degli organi competenti affinché l’apparato lavorativo cinese possa mettersi in regola sia dal punto di vista fiscale, sia da quello sulla sicurezza sul lavoro, e la conseguenze le stiamo vedendo e ancora non sono finite.
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E dire che si tratta di un quadro già noto da molti anni a tutta l’opinione pubblica. Il cittadino locale è consapevole del giro di denaro sporco che gira nella Chinatown pratese e nelle zone limitrofe, e che nessuna istituzione interviene. È dunque lecito udire nei discorsi della gente che anche le istituzioni possano essere partecipi a questo male affare.