L’AUTUNNO ANTICO E NOSTALGICO DELL’ARCANGELO.

1.

di Roberto Fiordi

I Pastori

Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga né cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquio, calpestio, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori?

Gabriele D’Annunzio

Settembre è il mese dell’anno nel quale abbandoniamo la bella stagione per inoltrarci nel mutamento al freddo, portandoci appresso le nostalgie estive. Anche il poeta porta a sé le nostalgie delle terre dove da piccolo ha vissuto e s’immedesima nelle sembianze di pastori che, con movenze lente e ripetitive, conducono il loro gregge verso nuovi pascoli, dai quali torneranno nelle stagioni più calde, tutti arricchiti di nuove esperienze.

Un ciclo continuo che si ripete di generazione in generazione: questi pastori, armati di un nuovo bastone di nocciolo (Rinnovato hanno verga d’avellano) che fa per loro come da compagno di viaggio a condurre il gregge, prima d’incamminarsi si dissetano in abbondanza per l’ultima volta ai fonti montanari in modo tale che il sapore di quell’acqua fresca, che in un certo senso gli appartiene (sapor d’acqua natia), li accompagni nel lungo e lento cammino verso verso il burrascoso mare dell’Adriatico. D’annunzio adotta a questo punto una mirata similitudine: che verde è come i pascoli dei monti, ovvero dove i pastori troveranno prati verdi allo stesso modo di come sono nei loro monti durante le stagioni calde, cosa che nell’inverno non lo sono più in quanto sono ricoperti dal manto nevoso, un fenomeno che però non accade in prossimità del mare essendo il clima più caldo.

Ed ecco abbandonare adesso la figura del pastore e far entrare quella del paesaggio, con un sapore retorico antico (E vanno pel tratturo antico al piano) e ciò attraverso enfatiche immagini di rudimentali sentieri che s’immettono o che sezionano piani erbosi da percorrere. L’enfasi trova la sua soglia nel versetto che dice: quasi per un erbal fiume silente, come a dire di trovarsi a percorrere un tranquillo fiume d’erba. E’ qui che il poeta s’appropria di un’appassionata metafora poetica  per immergersi nel pieno contatto con la natura, pacifica e silenziosa, concedendo a sé stesso e al lettore il senso di una tranquillità lenta e costante. Il gregge avanza calpestando le orme di chi li aveva preceduti (su le vestigia degli antichi padri), sino a raggiungere e costeggiare il litorale della marina, dove l’aria è salmastra. A questo punto il poeta fa un’altra similitudine: il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria, a stare probabilmente a indicare un luogo più caldo dove c’è maggiore garanzia per il pascolo.

Ecco  i pastori udire il rumore dell’acqua  del mare intanto che stanno percorrendo con il loro gregge il litorale marino. Anche qui il pieno contatto del poeta con la natura, quasi ad essere un’unica cosa; per poi terminare la poesia con un’altra rima nostalgica e onirica:   Ah perché non son io co’ miei pastori? 

In questa poesia sono molto forti le immagini retoriche e le metafore di cui D’Annunzio, come nel suo stile, si appropria per indurre sé stesso e il lettore a calarsi in quella trasparente pacatezza e nostalgia che vorrebbe appunto trasmettere. Sensazioni che lo legano ancora alla sua terra natia, dove ha vissuto la propria infanzia.

1. Immagine fonte Google