L’AZZURRINA DELLA VILLA DEL BARONE. Mentre Montemurlo è in Paradiso con Dante, spiriti immondi si aggirano in città.

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di Roberto Fiordi

La Toscana è una regione che vanta di molte storie fatte di misteri, presenze strane, possessioni, demoni e leggende legate al suo ricco passato medievale e rinascimentale fatto sì di mercanti, banchieri, artisti e letterati, ma anche di borghi, castelli, fortezze e ville, risalenti a quelle epoche, che sono il fascino dell’occulto. E proprio in una di queste dimore, che giace sulle pendici del Monte Javello, a Bagnolo in provincia di Prato, nel comune di Montemurlo, si sono verificati eventi paranormali. Si tratta della cinquecentesca Villa del Barone, la più famosa e importante nel territorio montemurlese, dove testimonianze di residenti e non solo, affermano d’avere udito strani lamenti provenire dal giardino della villa, nelle freddi notti di fine dicembre, e di aver visto lo spettro di una giovane, dai magnifici capelli dorati, aggirarcisi. Può trattarsi di semplice suggestione o soltanto di racconti usciti dalla fantasia di qualcuno, ma la storia che si annida intorno a questa villa è quella della figlia del barone, una ragazza che ha conosciuto un tragico destino.

La Villa del Barone è situata in una posizione dominante sulla città ed è di dimensioni imponenti. Fu fatta costruire nel 1530 da Bartolomeo di Filippo Valori, detto Baccio Valori, inizialmente fedele sostenitore della famiglia medicea e senatore del nuovo principato di Alessandro de’ Medici, ma poi convertito al partito repubblicano e divenuto fautore dei fuoriusciti fiorentini guidati da Filippo Strozzi nell’ingiuria contro la successione al potere di Cosimo I de’ Medici, a seguito dell’assassinio di Alessandro. Fu sconfitto nella battaglia di Montemurlo nel 1537 dalle forze medicee e condannato a morte, con la confisca di tutti i suoi beni. Da allora la villa è divenuta oggetto di numerosi passaggi di proprietà e in combinazione anche di modifiche e trasformazioni strutturali, con l’annessione della cappella.

La Villa del Barone presenta una magnifica facciata lineare incorniciata da due fasce a bugnato ai cantoni che accentuano ancora di più la sua maestosità, con sui piani principali due filari di undici finestroni ciascuno, disposti in asse fra loro e contornati da bugne. Al centro del primo piano, posto simmetricamente lungo la linea verticale con l’orologio accampato nel fastigio centrale che rappresenta l’enfatizzazione della struttura, si trova il portale d’accesso centinato, rialzato da terra da uno scalone ricurvo a doppia rampa, risalente all’Ottocento. Al di spora del portone d’accesso principale sono collocati lo stemma in stucco della famiglia Tempi, una delle proprietarie della villa nel corso dei secoli, e un terrazzino in ferro battuto. A questi si vanno ad aggiungere le piccole finestre rettangolari nel sottotetto del mezzanino e le aperture che danno luce ai seminterrati, disposte sotto le balaustre dei terrazzini che ornano le finestre al primo piano. La pianta della villa è a forma di “U”, e i prospetti laterali rispettano lo stile della facciata. Ad essi si aggiungono due stabili più bassi, che si chiudono nel dietro della villa con resti di un ninfeo settecentesco che formano il cortile, contenuti in un recinto murario con apertura centrale. L’ampio giardino si apre su tre lati della villa e si completa sul retro con due ringhiere in ferro battuto disposte ambo i lati del recinto in muratura e un cancello.

L’interno è ricco e decorato secondo il gusto barocco e neoclassico. Vi sono pitture e stucchi in tardo barocco. Dal portone principale si accede all’enorme salone, decorato da nicchie che includono copie di opere classiche risalenti alla fine del Settecento.Il salone si affaccia sul cortile nel retro dell’edificio. Dal salone si diramano altre stanze e una galleria, introdotta da un arco in stucco e colonne, che conduce allo scalone monumentale. La villa conta al proprio interno quarantasei stanze, alcune delle quali sono sale affrescate.

L’affascinante e sontuosa dimora signorile, ovunque una persona la guardi, si appropria anche di quel fascino di misterioso, che fa da guida ai curiosi e ai reali ghostbuster, che nelle notti di dicembre si appostano dinanzi all’enorme giardino della Villa con la speranza che si materializzasse la leggenda.

La leggenda narra di un antico proprietario della Villa, di nome Giovangirolamo, appartenente a una delle più rinomate famiglia toscane, che aveva una bellissima figlia già, come usava un tempo, promessa in sposa a un uomo, senonché l’affascinante adolescente, prima di convenire a nozze, svelò il segreto di essere in stato interessante al padre. Questi, in un raptus di follia, in una fredda notte di dicembre murò viva la ragazza all’interno della Villa e di lei non ci sono state più notizie da viva. E’ molto probabile che fosse morta di fame e di sete. Le apparizioni di cui parlano, quindi, è presumibile che siano di questa adolescente. Inoltre, altre testimonianze, asseriscono che all’interno della Villa si aggiri il padre della ragazza in cerca di pace. 2.

Ma se queste sono solo leggende, fatti storici reali c’insegnano che il comune di Montemurlo vanta, sin dal Medioevo, di un consistente numero d’importanti costruzioni storiche, fra le quali ville e signorili dimore ereditate da nobili famiglie ben inserite nel territorio toscano. Fra tali costruzioni un’importanza storico-culturale prevalente l’assume il Castello della Rocca, protaginista nella lotta guelfa-ghibellina, negli scontri Firenze, Prato, Pistoia. Originariamente appartenuto ai Conti Guidi (uno dei più importanti casati della Toscana feudale) è stato poi venduto al Comune di Firenze, un passaggio storico tanto importante da non essere passato inosservato dall’occhio del sommo poeta Dante Alighieri, che lo cita nel XVI Canto del Paradiso, durante la conversazione con Cacciaguida, quando questi dice: “saresi Montemurlo ancor de’ Conti“, alludendo appunto a questa cessione, accusando la Chiesa d’avere impoverito il potere imperiale romano e di avere ottenuto una città come Firenze più grande, ma allo stesso tempo di averci introdotto anche inurbani e quindi nuovi nobili di sangue non puro. Gente venuta dal contado che pensa solo ad arricchirsi. Un malcostume dal quale l’italiano non è mai guarito e neppure ha provato a farlo…


 

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