L’ESERCITO DEL NIENTE. I CITTADINI INVISIBILI. L’INGIUSTA ESISTENZA DEI CLOCHARD.

Si tratta dell’esercito di coloro ritenuti improduttivi dalla società. Di coloro che la vita si è rivoltata contro e li ha abbandonati a sé stessi. Al loro destino fatto spesso di spazzatura, sofferenza, fame, freddo e astio, violenza, morte.  

L’emerginazione è uno dei punti più dolenti di questa società dove tu ci sei se sei, altrimenti sarebbe come se tu non ci fossi. Condizionati da tali pensieri e coinvolti in certe supposizioni, molto spesso l’essere si abbandona a questo destino. Spesse volte accade nell’ego del più fragile la voglia di dire basta a tutto, e se non arrivasse a farlo giungendo alla soluzione estrema, lo farebbe abbandonando tutto o abbandonandosi a tutto.

Un senso di ripudio verso una società troppo discriminatoria e selettiva, pregiudiziosa e assassina, è quanto la vittima porta nel cuore. Ma pure un rifiuto verso sé stessa. La colpa di non essere arrivata dove avrebbe potuto arrivare, o di non aver fatto ciò che avrebbe dovuto. È l’inconscio a suggerire alla vittima le proprie responsabilità, qualora ci fossero. L’inconscio è il più grande nemico di ogni persona, in special modo di quelle più deboli o che non stanno attraversando periodi favorevoli.

Siamo figli della guerra, gente in  armi […]“, sono le parole contenute nel testo di una bellissima canzone di Renato Zero; ed è vero che tutti noi siamo figli della guerra e che “siamo in guerra“, ma in particolar modo la guerra la fanno queste povere persone costrette a sopravvivere ai margini della società. Gente annientata dalla povertà e costretta a dormire sulle panchine o sotto ai ponti, e per i più fortunati nei centri d’accoglienza messi a disposizione dalla Chiesa e dalle varie associazioni umanitarie.

Ma, come dice il testo della canzone stessa: ” La battaglia ci aspetta ogni giorno, soldati con la vita in pugno“, è la realtà di un  mondo parallelo a quello della gente comune, gente come me, gente come noi che cammina per la strada senza vedere, senza guardare il grande disagio sociale. La povertà di chi sta subendo la vita. Gente come me che resta infastidita da chi viene a chiedere elemosina.

Molti di noi vedono la figura del clochard come quella del fannullone che non ha voglia di fare niente e che si accontenta di vivere alla giornata ai margini delle strade, oppure di quella persona che abbia scelto, per volontà propria e non per costrizione, la vita del barbone fuori dagli schemi comuni che la società impone. Ma quei molti non si rendono conto, forse, che le persone ridotte in miseria hanno anche seri problemi nell’adempimento delle loro esigenze vitali.

Ed è per questo motivo che capita anche fra di loro che arrivino ad aggredirsi, per non dire ad uccidersi, malgrado vivessero la medesima condizione, e lo fanno anche per cose che per noi sono molto spicciole, come l’occupazione di una panchina per dormire o per una crosta di pane, ma che per loro sono veri e propri tesori. A questo va aggiunta anche, talvolta, la volontà di volersi imporre in quel duro ambiente e di manifestare propotenza e violenza verso altri, come fosse una forma di riscatto verso la vita.

Tuttavia sono stati fatti studi in proposito che hanno rilevato che i senzatetto sono individui che hanno perso nel corso della loro vita gli importanti legami sociali e l’uso della loro abitazione. Le ragioni possono essere molteplici: da un fallimento matrimoniale, aziendale, alla perdita di un caro. Dalla perdita del lavoro, e quindi della possibilità di dare o di ricevere un sostentamento dalla famiglia, all’abuso di alcol e droga, e così via… ma quello che conta dire è che è stato dimostrato pure che la mancanza di  dimora sfavorisce l’accostamento di queste persone ai servizi.

E inoltre, restare senza fissa dimora, non significa soltanto non avere un’abitazione in cui vivere, significa qualcosa di molto più profondo. Significa non avere, o avere perduto, quello spazio dove poter condividere l’esistenza familiare, aver perduto quei “numi tutelari del focolare domestico“. Essere senza casa significa anche perdere la propria identità, non essere più sé stessi, non essere dimora di sé stessi.