MAFIA: PRATO-PECHINO. 4,5 MILIARDI DI EURO DALL’ITALIA SONO VOLATI IN CINA

di Roberto Fiordi

La cittprato pratoà di Prato da un ventennio a questa parte è cambiata drasticamente. Dalla città del tessile, costituita di gente lavoratrice, fiera di fare quelle ore giornaliere di straordinario per arrotondare la busta paga e avere la possibilità di godersi le ferie al mare e il week end al ristorante, d’imprenditori intenzionati a rinvestire l’utile annuo in innovazioni, o rinnovamenti aziendali, è passata ad essere quasi la capitale della delinquenza. È precipitata nel baratro.

L’avvento degli extracomunitari irregolari sul territorio ha contribuito a trasformare Prato nella città dello spaccio di droga. Ma oltre a ciò, il distretto più fiorente forse di tutta la regione, dal punto di vista economico, ha lasciato prendere il volo per la Cina a ben 4,5 miliardi di euro in soli quattro anni. Si è trattato di soldi irregolari, usciti da un intero sistema fatto di evasione, lavoro illegale, contrabbando, riciclaggio e manodopera clandestina.

Dietro i fumi, non più quelli di un tempo, delle aziende pratesi, si nasconde un tessuto sociale fatto di reati, delitti e un sistema criminale fra i primi in Italia. È un po’ il quadro di questa città che l’ex procuratore capo di Prato, Antonio Sangermano, lascia scritto nel verbale dell’audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria commerciale e del commercio abusivo.

Secondo i dati statistici della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, fra il 2006 e il 2010, ben 4,5 miliardi di euro avrebbero preso il volo per Pechino. Non essendoci, però, nessun accordo a riguardo della Giustizia fra l’Italia e il governo cinese, le indagini delle Fiamme gialle non sono in grado di individuare il punto d’arrivo di questo fiume di soldi. Sono comunque a conoscenza dalla partenza, che è la zona Chinatown di Prato, quartiere Macrolotto. Secondo la Guardia di finanza una larga fetta delle pezze di tessuto che arrivano a Prato sono di contrabbando. Giungono via terra da Gorizia e via mare dai porti di Livorno, La Spezia e Genova.

È stato stimato l’arrivo di 300/400 container per notte. E qui si mette in moto il reparto di manovalanza clandestina cinese, che nel giro di poche ore restituiscono il prodotto finito, pronto per essere trasportato in tutta Europa.

Il luogo di lavoro di questi poveri cinesi senza identità nel nostro territorio, è lo stesso in cui cucinano, mangiano, dormano e persino muoiono, se pensiamo alla tragedia di novembre del 2014, dove sette persone persero la vita nel rogo avvenuto nella ditta Teresa Moda, che era una fabbrica-dormitorio.

Se andassimo ad analizzare un grafico delle imprese pratesi al 2014 ci accorgeremmo che le aziende cinesi hanno avuto un incremento pari al +4,5%, mentre quelle italiane sono scemate dello 0.6%. E molti di questi soldi fatti in quelle aziende, dall’Italia sono finiti in Cina comportando un aggravio alle finanze di tutta la Nazione.

Il sistema di trasferimento monetario, secondo le indagini portate avanti dalla Guardia di finanza di Firenze, si aggirava attorno a un piccolo operatore di money trasfer, la Money to Money, che spezzettava l’ammontare in parti da 1999,99 euro per non superare la soglia dei 2000 euro che avrebbe fatto scattare la segnalazione antiriciclaggio.

Fatta luce su questo giro di soldi, ecco farsi avanti i magistrati dell’antimafia con le richieste di rinvio a giudizio a ben 298 persone e alla Bank of China. Quest’ultima è una delle maggiori banche del mondo controllata dalla Repubblica Popolare, che opera in Italia, a Roma e a Milano, dove in quest’ultima, secondo i pm, circa la metà dei soldi transitati da Prato a Pechino sono privi di segnalazione alle autorità italiane.

Secondi i magistrati la banca avrebbe agevolato e rafforzato un’organizzazione criminale messa in piedi da italiani e cinesi. L’imputazione è di “associazione a delinquere di stampo mafioso”, e perciò nel maxiprocesso aperto a Firenze gli imputati, italiani e cinesi, dovranno rispondere per reati di mafia.

Tra coloro che dovranno rispondere alle accuse più pesanti sono i fratelli cinesi Cai e gli italiani Bolzonaro. La Money to Money era gestita proprio da quest’ultimi. Inizialmente era un piccolo operatore finanziario per le rimesse degli immigrati, ma poi dal 2007, da quando cioè sono arrivati i soci cinesi Cai, il 97% dei soldi sono stati spediti in Cina e il suo l’ammontare è notevolmente aumentato. Parliamo di un ammontare non più riconducibile a singoli.


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