Ricordo di Papa Wojtyla a quindici anni dalla morte

Prato – Quando il cardinale polacco Karol Wojtyla arcivescovo di Cracovia fu eletto Papa il 16 ottobre del 1978 con il nome Giovanni Paolo II, non mancarono tra le tante reazioni quelle di apprezzamento e stima da parte del mondo laico e cattolico.

Per Joaquín Navarro-Valls, che ne fu il portavoce, “una sfida tremenda in un momento storico”; Lech Walesa “il mondo sarebbe cambiato”. E il cardinale Camillo Ruini,: “La sua elezione diede coraggio ai cristiani e alla Chiesa testimoniando il Vangelo di Cristo”. Sicuramente quel giorno in Piazza San Pietro si affacciò un Papa mistico che nella preghiera di ringraziamento affidò sé stesso (totus tuus) e il suo ministero completamente a Maria. A lui ma un’umanità dolente si rivolgeva con speranza in attesa di risposte.

Ed esse non tardarono ad arrivare:  il “non abbiate paura di aprire anzi di spalancare le porte a Cristo”, oppure “non dovete mai sentirvi abbandonati a voi stessi”, come anche: “la misericordia è indispensabile all’amore, il suo secondo nome”.

Un pontificato durato 27 anni durante il quale si susseguirono eventi storici che scossero la geografia politica di quegli anni anticipandone i  cambiamenti: il crollo del Muro di Berlino il 9 novembre 1989, e l’attentato alle Torri Gemelli per mano dei fondamentalisti islamici l’11 settembre del 2001.

Sulla sedia del successore di Pietro c’era Wojtyla che non era solo un uomo di fede ma anche un pensatore, un teologo esperto e un filosofo. Conosceva il mondo della cultura. E aveva l’innato dono di mettersi in contatto con le persone e con le folle alle quali parlava.

Non indugiò a mettere in pratica la parola di San Paolo viaggiando tra le genti, compiendo 104 viaggi internazionali tra cui la storica visita a Cuba ospite di Fidel Castro e 146 spostamenti in Italia. E se il 2020 passerà alla storia come un  anno funesto per la diffusione  di un virus sconosciuto e mortale, il Covid -19, è anche però l’anno in cui cade il 15esimo anniversario della morte di Papa Giovanni Paolo II avvenuta il 2 aprile del 2005.

Una giornata da ricordare,  perché grazie al suo operato la Chiesa di Roma si rivelò quella del sorriso, vicina alle genti, capace di comprenderne gli stati d’animo e di farsene partecipe. Anche se il leader era lui, quell’uomo che “venuto da una terra lontana”, dall’altra parte della cortina di ferro, si mostrò vestito i panni del Vicario di Cristo, con umiltà al mondo, “se sbaglio mi corrigerete!” e volle farsi strumento di una rivoluzione pacifica che si attendeva da tempo e che riguardava in special modo i giovani, la famiglia, il mondo universitario e della cultura, le questioni sociali,  la situazione dei Paesi sottoposti a dittature.

Un’elezione che probabilmente non piacque ai vertici dell’impero sovietico, perché “quel Karol” era stato testimone diretto della vita quotidiana in un regime comunista e dunque un elemento destabilizzante per i totalitarismi dell’Est europeo.

Ricorda il cardinale  Stanislao Dziwisz, suo segretario particolare che quando il cardinale Wojtyla partì per il conclave di ottobre, le autorità comuniste gli avevano tolto il passaporto diplomatico, rilasciandogli solo quello turistico. Ed uno dei segretari provinciali del Partito comunista, mentre gli consegnava il documento, gli disse: «Vada, vada, al suo ritorno faremo i conti».

Ma «la Russia si convertirà». Così avevano detto i pastorelli di Fatima nel 1917 alla vigilia della rivoluzione d’ottobre; un messaggio premonitore che poteva diventare con il Papa polacco improvvisamente possibile e forse questo spiegherebbe l’attentato di cui fu egli stesso vittima in piazza San Pietro proprio il 13 maggio 1981, anniversario della prima apparizione di Fatima. E il disegno divino parve così trovare compimento attraverso la voce di Dio che con Maria parla nella storia dell’uomo attraverso  i “segni dei tempi”, per poter essere facilmente udita e compresa.»

 

fonte Stamp Toscana

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