UNA VITA IN MOBBING

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di Roberto Fiordi 

Quando la parola Mobbing è anche sinonimo di Emarginazione… Nell’uso quotidiano è un sostantivo la cui natura richiama alla mente il lavoro e le violenze psichiche che si rispecchiano al suo interno, dove si verificano comportamenti dispotici, iracondi e sistematici da parte di uno o più superiori nei confronti di un subordinato, oppure anche fra colleghi stessi. Meno frequenti sono i casi in cui il mobbizzato risulti il capo, ma ci sono anche questi casi.  Lo scopo del mobbing consiste prevalentemente nella persecuzione ai danni della vittima, al fine di ledere la sua dignità umana e professionale, spingendo questi a logiche e consuete dimissioni. È un argomento che è stato introdotto in Italia solo nel 2002 dallo psicologo tedesco Harald Ege, quando oramai la tematica aveva avuto il suo debutto circa un quindicennio prima per opera dello psicologo svedese Heinz Leymann, qualificandolo un atteggiamento avverso da parte di uno o più individui ai danni di un singolo più debole e privo di difese e di sostegni. E le conseguenze possono essere al quanto deleterie per la vittima: l’assillante ossessione può provocare in lui malattie di vario genere, tanto a livello psichico che fisico.

Tuttavia il mobbing è una pratica che si manifesta non solo nell’ambiente di lavoro ma anche in qualunque altra parte, ne fanno cronaca il bullismo fra i giovani, per citare un esempio, oppure i persistenti atteggiamenti denigratori che un insegnante può assumere nei confronti di un alunno, e di esempi come questi ce ne sarebbero tanti altri ancora da fare, ma è il caso di soffermarsi in uno in particolare, in quello che riguarda le forme di vessazione all’interno delle mura domestiche. Il mobbing familiare più frequente, e che viene messo maggiormente in risalto, anche perché interessa una funzione giurisdizionale, è quello che riguarda coniugi separati, o in via di separazione, dove ad attuarlo è uno dei due genitori nei confronti dell’altro, col solo scopo d’infrangere il legame genitoriale con la prole. Tuttavia ci sono altre forme di silenti prepotenze psichiche fra familiari, nonostante se ne parli molto poco e forse non ci sono tutele legali per chi subisce, e sono quelle in cui uno dei membri della famiglia viene letteralmente escluso a tutti gli effetti dai processi decisionali riguardanti tanto la famiglia stessa che le finanze. Sono quei casi in cui il malcapitato viene bandito persino dai dibattiti familiari o argomenti di qualunque tipo e certe notizie gli giungono talvolta all’orecchio addirittura da altre persone che sono al di fuori dalla famiglia. La vittima si trova a dover affrontare una condizione di vera e propria emarginazione senza riuscire a capirne le ragioni. Sicuramente non è una persona che vive bene con sé stessa quella che si domanda: Perché io? Perché a me?

Sono situazioni che spesse volte riguardano famiglie abbienti, che oltre a possedere il patrimonio immobiliare della casa in cui vivono possono possedere altri immobili e/o un’attività in proprio, più o meno grande, dove ci lavorano tutti. All’interno di questa famiglia  chiaramente c’è chi detiene il ruolo di capofamiglia, che possa essere il padre o la madre, che generalmente corrisponde anche con l’azienda e/o con il patrimonio. Attorno a questi viene a formarsi come una lobby familiare, i cui componenti, con studiate strategie, fanno in modo di tirare dinanzi a sé come una linea rossa e costruirci sopra una virtuale muraglia per far sì che uno dei componenti venga escluso sia dai complotti di famiglia che da quelli aziendali e che finisca col ritrovarsi quindi circondato dalla più totale indifferenza. La medesima indifferenza per lui è riscontrabile anche in altri collaboratori d’azienda, qualora esista, in quanto la parte più in forza è stata in grado di stringerci in qualche modo un’intesa.

È ovvio che il malcapitato si renda conto perfettamente di tutto questo, ma l’opprimente condizione nella quale si ritrova a essere coinvolto non gli consente di fare nulla e dunque si trova costretto, coltivando in sé un odio cieco, ad aspettare (impaziente) il suo momento, affilando nel frattempo la lama del suo pugnale, pronto a scagliarlo non appena gli capiti l’occasione.

I perseveranti bruciori di stomaco, quali conseguenze del suo malessere interiore, le notti insonni, i continui scatti d’ira, i frenetici attacchi d’ansia, possono comportare persino gravi ripercussioni non solo sulla salute del soggetto, ma addirittura sul mondo sociale, familiare e lavorativo della vittima, trovandosi questi nient’altro che terra bruciata al proprio cospetto. Situazioni che ai mobbizzanti fa comodo non capire, senza però rendersi conto del rischio a cui possono essere assoggettati anche loro. La linea fra normalità e follia è così sottile negli esseri umani che spesso basta molto poco perché vada in frantumi, e quando ciò accade – che Dio ce ne scampi – la vittima non è più in grado di governare sé stessa e dunque può accadere di tutto: dai casi estremi di autolesionismo, per giungere al suicidio, a quelli estremi di pulsione distruttiva ai danni del nemico di turno, giungendo persino e soprattutto all’omicidio. Entrambi sono casi frequenti.

Al  programma televisivo  Mediaset  di tipo giuridico chiamato Forum,  andato in onda su Canale 5 il 31 dicembre 2015, si è presentato un caso in cui veniva richiesto l’annullamento del matrimonio da parte della moglie, in quanto il marito durante il ricevimento nuziale l’aveva tradita con la sorella. La complice del tradimento, a ricevimento ancora in corso, ha svelato l’antefatto alla sposa, e ha dunque ammesso, durante il processo, di avere agito per pura vendetta giacché lei, la sorella, qualche anno prima aveva fatto in modo che si lasciasse dal fidanzato. È inoltre stato chiamato in causa anche loro padre, titolare dell’azienda in cui lavoravano al tempo delle nozze i due ex coniugi e in cui aveva lavorato in precedenza anche l’ex fidanzato, e i vari dibattiti che sono emersi hanno portato a presumere che il padre abbia sempre avuto un occhio di riguardo in più nei confronti della figlia sposa che nell’altra e che ciò abbia contribuito a far nascere nella seconda una conflittuale gelosia da spingerla ad agire in quel modo come per togliersi un peso di dosso. Può sembrare un paradosso, ma se così realmente fosse stato, anche questa sorella sarebbe stata vittima della malagestione familiare da parte del padre, non essendo stato questi capace di mettere entrambe le figlie nello stesso piedistallo.

Rendiamoci conto che ci stiamo trovando di fronte a conseguenze dalla portata mastodontica sulla vittima, a veri e propri danni psicosomatici. Il mobbizzato inizia con avere pensieri sempre più frequenti e assillanti, nei sogni si ripete in vari aspetti il film della sua ossessione per tramutarsi quindi in insonnie, nausee, esaurimenti. Tende così a ripiegarsi sempre più su sé stesso, accucciandosi sempre più in fobie e depressioni. A isolarsi da tutti. L’autostima diventa per lui un miraggio. Ma l’insoddisfazione verso la propria vita, il futuro nero che si apre dinanzi ai suoi occhi, oltre che poter causare i gravi effetti visti sopra, possono spingere il soggetto a cercare la soluzione anche negli stupefacenti.

Si dice che i ragazzi d’oggi siano più deboli di quelli di ieri se cadono così facilmente in depressioni tanto morbose (fra questi ragazzi d’oggi sono inclusi anche gli adulti), ma forse ciò accade non perché siano più deboli ma perché siano più consapevoli. Tutto sommato la società è cambiata.


  1. Immagine fonte Google