Andrej Romanovič Čikatilo, lo squartatore rosso

Un uomo con seri problemi psichici, certamente dovuti a un’infanzia difficile e sofferta. Una mente compromessa da un violento passato. Questo è il ritratto di un uomo spietato, che osava uccidere e mutilare, senza alcun ritegno, bambini, adolescenti e donne. Un uomo che da piccolo fu spettatore delle drammatiche ed aspre vicende sporche di sangue vissute durante la Seconda Guerra Mondiale. Di quelle spaventose pagine che hanno segnato la storia. Una storia fatta di prigionie, bombardamenti, cannonate, mitragliate e morti. Una battaglia che ha visto parte della Russia distruggersi di fronte al feroce assalto delle truppe tedesche.  

Ucraino d’origine, durante il periodo bellico, quando ancora era solo un bambino, le sue fantasie omicide e cariche di odio navigavano già nella cattura di tedeschi da portare nei boschi per poi procedere alla loro esecuzione. Un inconscio desiderio che si è portato appresso anche in età matura. Una sete che ha cercato di saziare con le sue vittime, rivedendo in esse i suoi oppressori.

Era il 1978 quando l’ucraino commise il suo primo omicidio. Questi, per ragioni di lavoro, si era trasferito a Šachty, una città ricca di carbone, da cui ne deriva il nome stesso (miniera di carbone). Essa si trova nella Russia europea meridionale non distante da Rostov. Qui, il killer seriale, aveva comprato una vecchia casa e lo aveva fatto all’insaputa della famiglia. Si trattava di una specie di capanna diroccata e fu proprio lì che Čikatilo, questo il suo cognome, commise il suo primo omicidio.

Era il 22 dicembre quando, a una bambina di solo 9 anni che stava facendo ritorno a casa dopo un’allegra pattinata con le amichette, si presentò davanti il lupo cattivo travestito da nonnina e la convinse a seguirlo in quella casa. La bambina era molto carina e si chiamava Elena Zakotnova. 

Nessuno è in grado di poter dire con quali scuse l’omicida possa aver convinto la piccola a seguirlo in quell’edificio diroccato in mezzo al bosco, ma dalle indagini che sono poi emerse è stato possibile accertare che l’uomo abbia spogliato la piccola con l’uso della forza e abbia tentato di stuprarla. La reazione della piccola era stata di scappare, ma Čikatilo non le aveva dato modo di farlo perché, dapprima le aveva procurato una ferita ad un braccio, dopodiché, forse vinto da un’incontrollabile cupidigia alla vista del sangue, aveva proseguito a pugnala fino alla morte.

Il legame fra sangue e sesso aveva provocato sicuramente nell’assassino uno stato di libidine così intenso da spingerlo a eiaculare. Quell’esecuzione gli aveva fatto scoprire che accoltellare donne e bambini, sarebbe stato il suo unico modo di procurarsi piacere. Un piacere che andava ben oltre alla famiglia che si era costruito, sposandosi nel 1963 e diventando padre di 2 figli.

L’esito delle prime indagini sulla morte della bambina, portò a individuare come colpevole un amico di famiglia dell’assassino, un certo Aleksandr Kravčenko, al quale spettò la pena capitale nonostante non ci fossero state prove certe sulla ipotizzata colpevolezza dell’imputato. La giustizia lo uccise!

Čikatilo era un pazzo, un assassino, un mostro, un violentatore, tutto vero, ma poteva essere stato anche una vittima: una vittima di sé stessa, del proprio passato, di un trascorso complicato. Nacque nel 1936 nel villaggio di Jablučne e a distanza di pochi anni dalla sua nascita, l’Unione Sovietica entrò in guerra. Furono situazioni drammatiche per tutti, ma soprattutto per un bambino, Čikatilo, che scoprì di avere avuto un fratello più grande di lui che era stato dapprima rapito dai vicini e poi divorato. Proprio così, non si tratta della narrativa dantesca che vede come protagonista  Ugolino Della Gherardesca, ma di storia vera. Ci sono, infatti, testimonianze che dicono che negli anni ’30 la pratica del cannibalismo in Ucraina esistesse davvero, una pratica che venisse eseguita a livello di sopravvivenza.

A raccontarglielo era stata sua madre. Una concreta narrazione che non poteva che esser uscita dalla bocca di una donna fredda e violenta con lui. Ma da lei, il piccolo il Mostro di Rostov, non aveva subito altro che punizioni e umiliazioni. Ella non riusciva a tollerare i problemi di suo figlio, specie quelli d’incontinenza che durante la notte lo costringevano ad alzarsi continuamente dal letto per urinare. Čikatilo dormiva con lei mentre il padre si trovava in guerra. E per il piccolo è stata tutta una serie di situazioni che sicuramente sono andate a incidere negativamente nella sua sfera cerebrale, influenzando pure l’ambito sessuale. 

All’età di 18 anni,  Čikatilo cercò di violentare un’amica 13enne di sua sorella, la quale reagì per impedirglielo e mentre si trovavano a lottare per terra, lui le eiaculò in faccia. Tale aggressione potrebbe trattarsi di un’inconscia associazione nel ragazzo del sesso alla violenza. Un’associazione che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.

Il secondo omicidio risalirebbe al 1981. La vittima, Larisa Tkachenko, era una ragazza di 17 anni con la quale il mostro avrebbe dovuto avere un rapporto sessuale in un bosco, se non fosse stato che quel rapporto non si è mai consumato perché lui non ne è stato all’altezza. Di fronte all’impotenza di Čikatilo la giovane donna non è stata in grado di trattenere una risata, una risata che però le è costata la vita. L’uomo, sentendosi umiliato, l’ha afferrata per il collo facendole perdere i sensi. Ha finito di ucciderla, ed è passato alla pratica del cannibalismo recidendole il seno e divorandolo subito dopo, per poi rosicchiarle la gola, come fosse stato una belva affamata.

Anche nella sua professione di insegnante finiva per essere schernito dai suoi stessi alunni non essendo in grado di farsi rispettare. Tante erano le derisioni che subiva, tanti gli spostamenti di scuola in scuola perché sospettato di abusi sessuali sui propri studenti. Čikatilo non è mai stato arrestato con questa accusa, perché le autorità scolastiche preferivano fargli cambiare indirizzo scolastico piuttosto che far scoppiare uno scandalo, mettendo a repentaglio la reputazione della scuola. Infine, da insegnante si ritrovò a fare il commesso e gli spostamenti che per lavoro dovette fare furono propizi a commettere i suoi crimini.

 Il terzo assassinio fu compiuto a giugno del 1982 su una poco più che bambina. Si trattava di una 13enne di nome Biryuk Lyuba. Questa ragazzina venne rapita da un villaggio e condotta nella foresta e qui, con 35 coltellate, sacrificò la sua vittima mutilandole addirittura gli occhi.

Ma la vita era complicata anche per il serial killer, avrebbe voluto essere una persona come tutte, avere una vita normale, ma riteneva che per lui fosse una cosa impossibile. Quel disagio di uomo sessualmente impotente lo travagliava psicologicamente. Era una cosa che non riusciva ad accettare. E guai a deriderlo anche su quello.

Non è da escludere l’ipotesi che la sua condizione d’impotenza fosse dovuta allo stress e alle sofferenze vissute nell’infanzia, ma che anche da adulto continuasse a viverle nel confronto sociale e professionale con le altre persone, e il disagio fatto d’insicurezze si fosse ripercosso anche nella sua vita sessuale.

E difatti, a distanza di un anno da quell’omicidio, altre 4 persone caddero vittime nelle mani di quella furia omicida, fra cui donne e bambini. Il killer con loro aveva cercato in un primo momento di avere rapporti sessuali, ma l’insuccesso ottenuto aveva scatenato in lui quella furia omicida, specialmente le volte in cui era stato anche deriso. E solo in quei psicopatici momenti era stato in grado di raggiungere l’orgasmo.

Il mostro selezionava le proprie prede fra la folla delle stazioni ferroviarie e alle fermate dei bus. Questi, sapeva parlare molto bene ai ragazzi e alle persone in generale e con una scusa riusciva a convincerle a seguirlo nei boschi.

Fino a quel momento, l’URSS aveva tenuto nascosto fatti di cronaca nera come quelli commessi da Čikatilo e pertanto vi era disinformazione a riguardo. Anche dal punto di vista investigativo gli ispettori non si erano mossi in maniera diligente, ma l’escalation di corpi privi di vita ritrovati, spinse le autorità di Mosca a muoversi. Le indagini si concentrarono subito a Šachty, ma ciò non fermò comunque la mano omicida del killer che nel 1984 arrivò a commettere ben 14 omicidi.

Gli inquirenti sospettarono che l’assassino potesse avvicinare le proprie vittime nella stazione ferroviaria di Rostov, o in altre vicine e pertanto decisero di far monitorate dagli investigatori tali luoghi alla ricerca di eventuali comportamenti sospetti o di chiunque si fermasse a parlare con ragazzi o ragazze.

Gli strumenti investigativi russi, però, come altrettanto le tecniche per un accurato studio scientifico sui crimini, all’epoca erano abbastanza arcaici, ma ciononostante il professor Bukhanovskym, riuscì a delineare il profilo del killer. Lo riconobbe dietro le vesti di un uomo maturo, in là con gli anni, eterosessuale con moglie e figli. Lo stesso professore, uno dei più emeriti psicologi russi del tempo, individuò nella figura dell’assassino ancora ignoto (assassino X come lo aveva denominato), una persona con gravi problemi d’ambientazione fin dall’infanzia, che trovava nel suo sadismo quella forma di dominazione sulle persone che lo avevano fino ad allora sottomesso.

Le autorità misero a disposizione un gran numero di agenti nella ricerca di questo assassinio seriale. Furono messi in atto anche travestimenti, agenti in borghese e così via. Dedussero che, nel caso in cui il killer si fosse accorto della presenza di molti agenti in divisa alla stazione di Rostov sicuramente avrebbe agito in altre stazioni più piccole; ed è stato proprio in quelle che la polizia ha postato i propri agenti in abiti civili. 

Čikatilo fu sorpreso proprio in una di quelle stazioni mentre stava avvicinando una bambina. Fu catturato e portato al comando di polizia. L’uomo fu perquisito e dalla sua borsa saltarono fuori oggetti compromettenti quali: vaselina, una corda, asciugamani sporchi e un coltello da cucina. Elementi o prove perché diventasse l’indiziato numero uno.

A scagionarlo, però, e a farlo rilasciare, furono gli accurati controlli del sangue al quale fu sottoposto. I risultati rilevarono la sua appartenenza al gruppo sanguigno di tipo A, mentre il presunto gruppo sanguigno del probabile assassino, ottenuto dai test sui campioni di liquido seminale trovato sulle vittime, apparteneva al tipo AB. Un mistero tutt’oggi da risolvere. Alcuni studiosi sostennero che si potesse trattare di una rara malattia del sangue in cui i globuli, piastrine e lo sperma fossero di tipi diversi.

A seguito del rilascio, succedettero altri omicidi da parte del serial killer, fino a quando non venne fermato e arrestato.

Era il 6 novembre del 1990 quando il carnefice uccise la 22enne Sveta Korostik, seguendo il suo modus operandi della mutilazione. Portava con sé una borsa sportiva, nella quale aveva introdotto il seno della sua vittima. Quando uscì dal bosco, venne fermato da un poliziotto, insospettito dai suoi abiti non solo sporchi, ma neppure adatti per un cercatore di funghi, ed anche dall’aria sospetta che aveva. L’unica cosa che gli chiese, però, fu i documenti. Neppure gli domandò di aprire la borsa. L’agente, tornato nel suo ufficio, verbalizzò comunque un rapporto che indicava le generalità della persona fermata; e pochi giorni dopo, nel bosco da dove era uscito Čikatilo, non distante dalla stazione di Leschoz, furono rinvenuti 2 cadaveri: uno di questi apparteneva a Sveta Korostik. Analizzando il suo corpo, gli inquirenti vennero a capo che la morte della 22enne risaliva al giorno esatto in cui Čikatilo era stato fermato.

Non essendoci, però, prove sufficienti per condurre il sospettato agli arresti, Čikatilo fu messo sotto stretta sorveglianza, seguito e filmato da agenti sotto copertura. Tuttavia, però, non emersero elementi gravi per poter sottoporre l’uomo agli arresti e così la polizia dovette ripiegarsi sull’insistenza con la quale questi tentava di avvicinare i bambini.

Čikatilo fu arrestato e durante l’interrogatorio, la polizia fece emergere sulla scena del crimine prove contro di lui, ma la strategia più efficace, che indusse l’imputato a confessare i propri crimini, fu quella adottata dalla persona che lo stava interrogando. Questi prese a dirgli che tutti loro ritenessero il killer un uomo malato e che stesse chiedendo aiuto uccidendo in quel modo le persone. Il racconto accese le speranze nell’assassino seriale che, nel caso avesse confessato, al processo  avrebbe potuto chiedere l’infermità mentale. Fu affiancato così da un ottimo psichiatra al quale confessò l’esecuzione di ben 56 vittime. E la notizia sorprese la polizia che si era fermata a 36. Fu processato il 4 aprile del ’92 e, nonostante il suo atteggiamento impudente durante il processo, fu ritenuto capace d’intendere e di volere.

La sentenza fu la pena capitale. Con un colpo d’arma da fuoco alla testa fu giustiziato nella prigione di Rostov il 14 febbraio 1994.