PARADOSSALE IL COMPORTAMENTO DEI GIUDICI, TOTÒ RIINA È INNOCENTE

Per quanto possa sembrare un paradosso, il parere dato dai giudici della Corte d’Assise di Palermo sul boss corleonese Totò Riina è di non colpevolezza. Non sono bastate le dichiarazioni di alcuni pentiti di Cosa Nostra perché al boss di Corleone fosse convalidata l’accusa di essere il mandante e l’organizzatore del sequestro e dell’omicidio del giornalista Mauro De Mauro.

Risentite ovviamente le dichiarazioni della figlia del cronista del quotidiano L’Ora ucciso dalla mafia: «È una vergogna di 41 anni», avrebbe detto. «Sono molto turbata per questa conclusione perché ritenevo, dopo avere seguito la requisitoria dei pubblici ministeri e le dichiarazione di alcuni collaboratori, che ci fossero le condizioni per arrivare a una conclusione diversa».

La donna parla di una vergogna che dura da oltre 4 decenni. Una vergogna che ha fatto cadere nel vuoto le sue aspettative, dopo che le fonti che avevano chiamato in causa il cosiddetto capo dei capi erano arrivate da personaggi di spicco nel panorama mafioso. Nomi dal calibro di Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo, Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo.

Tutto ebbe inizio la sera del 16 settembre 1970, quando De Mauro fu prelevato da un commando mafioso di fronte casa sua, quasi sotto agli occhi della figlia Franca, che lo aveva visto poco prima parcheggiava l’auto, e da quel momento in poi non lo ha più visto.

Sono tanti i misteri che ancora oggi avvolgono il caso De Mauro, e forse più d’uno il movente dell’omicidio. Secondo il pubblico ministero Antonio Ingroia, infatti, che a processo ancora in corso aveva chiesto alla Corte d’Assise di Palermo la condanna all’ergastolo per Totò Riina, l’omicidio del giornalista De Mauro non si lega soltanto a Cosa Nostra, ma che ci sarebbero altri nodi da sciogliere.

Lo dice anche la tesi della Procura di Palermo, che non fu solo Cosa nostra a volere la morte del giornalista, ma che c’erano di mezzo anche altri ambienti e personaggi interessati a volerlo, altre organizzazioni non mafiose alleate con Cosa nostra: dalla massoneria deviata alla destra eversiva golpista, dai servizi segreti infedeli a un certo mondo della finanza e della politica. 

Secondo quanto riferisce l’accusa, dalle sue ricostruzioni è emerso che il cronista De Mauro aveva scoperto questioni molto delicate sulla morte di Enrico Mattei, presidente dell’Eni, che rimase vittima nell’ottobre del 1962 dell’esplosione dell’aereo che dopo una visita in Sicilia lo stava riportando a Milano. Questo è quanto era emerso dalle ipotesi messe in piedi dai collaboratori di giustizia Buscetta, Mutolo e Grado. Per un altro pentito, Francesco Di Carlo, De Mauro avrebbe scoperto che il principe Junio Valerio Borghese stava organizzando un golpe per il dicembre di quel 1970.

In entrambi i casi, i capi di Cosa nostra, avrebbero avuto un ruolo fondamentale, e il giornalista De Mauro poteva averlo scoperto da fonti certe rimaste comunque ignote, probabilmente all’interno dell’organizzazione mafiosa. 

In ogni modo, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non sono bastate a dare la sentenza di colpevolezza a Totò Riina. 

Fra i molteplici misteri che si annidano sul caso De Mauro, c’è pure quello della sparizione di importanti documenti che avrebbero potuto far luce sul caso stesso. È la procura a rivelarlo. Sostiene che non siano state semplici coincidenze le circostanze dei depistaggi che hanno intralciato le indagini. Depistaggi, secondo i pm, messi in atto da esponenti della polizia, dei carabinieri e dei servizi segreti.

Con molta probabilità il caso De Mauro rimarrà sempre nella rubrica dai gialli irrisolti.